Il lavoro su traccia di solengo è la situazione nella quale meglio si evidenzia la classicità della tracciatura nella caccia al cinghiale. Tracce lunghissime, filiformi, che vanno di pastura in pastura o alla ricerca del branco di femmine e con esso si confondono, per poi separarsene inaspettatamente o restare.
E’ il solengo che catalizza tutta l’attenzione del vero cacciatore di cinghiali. Astuto, prudente, tenace e coraggioso, regala emozioni che solo lui sa dare.
Quando rompe la lestra, la sua potenza fa quasi trasalire e lo si lascerebbe andar via solo per guardarlo correre e sentirlo rompere. Ma sa anche essere leggero e silenzioso come un’ombra.
A volte, inappagato o in attesa, si rimette nei pressi del branco, distante dal suo rivale, nervoso e pronto a colpire il primo malcapitato che gli si para dinanzi. A volte lo visita soltanto per gettare scompiglio tra le giovani troie.
Segna il suo territorio con le sue difese e la sua urina. Il suo odore simile a quello del finocchio selvatico; se non si sta attenti, la usa emanazione si attacca ai vestiti per giorni, tanto che i cani quasi ci abbaiano a fermo.
Se ce l’ha, il suo scudiero è la vittima sacrificale predestinata della prima levata di cani.
Occorre saperlo trattare il vecchio solengo… e riverirlo.
Traccia di un verro al seguito di un brachetto di scrofe. La sua lestra è staccata da quella del gruppo. I verri d’esperienza, quando vengono centrati per primi dal cane, compiono talvolta uno spostamento per andare a mescolarsi con il branco. Usano questa strategia nella speranza di indurre il cane a cambiare obiettivo, restando poi fermi quando il branco si muove. Se invece il cane intercetta per primo il branco, restano immobili sperando di farla franca.