Praticata nel corso dei secoli perlopiù da “bracconieri”, cioè da poveri uomini che per poter sfamare la prole mettevano a rischio anche la propria libertà e la propria stessa vita, purtroppo in Italia, anche a causa del pregiudizio che ciò ha creato, non ha mai avuto un vero riconoscimento ufficiale come caccia classica e negli ultimi decenni ha anche corso il rischio di uscire definitivamente di scena, come il treppiede e la cavalletta, a causa di una sorta di globalizzazione a favore delle forme più frequentate. Alcuni la condannano persino, ritenendo che la funzione della caccia al cinghiale debba essere sempre e solo quella rituale, aggregante e conviviale.
In verità la caccia a singolo è una vera e propria arte, le cui modalità esecutive, in realtà mai codificate, dipendono dallo stile personale di chi la pratica. Può avere anche una valenza altamente ecologica. Consentendo di stabilire preventivamente e con precisione quale animale abbattere, può essere anch’essa un valido supporto all’azione di gestione della fauna selvatica, attraverso prelievi mirati: per fini sanitari o di ricerca.
Non è però una caccia facile.
Esercitandola capita spesso di seguire le tracce fino in posti dove anche una banale caduta potrebbe rivelarsi fatale.
Il cinghiale è senza dubbio un animale da prendere con le molle. Mancare un verro che carica a testa bassa è più facile di quanto si creda, ed una emorragia nel bosco, da soli, può costare la vita.
Per praticarla senza inutili pericoli, vanno adottate tutte le precauzioni necessarie a che una bella giornata non si trasformi in una tragedia.
La prudenza non è mai troppa ed occorre essere previdenti, preparandosi anche per il malaugurato caso in cui si dovesse restare bloccati nel bosco di notte. D’inverno il freddo può uccidere se non ci trova attrezzati.
Lo zaino deve essere sempre il fedele compagno del cacciatore a singolo e in esso va riposto con cura tutto il necessario per l’emergenza. Uno zaino che contiene tutto l’occorrente non supera i sette chili. Ci si abitua in fretta ad un peso simile.
Il detto: “Povero quel lupo a cui pesa la pelliccia” è più che mai azzeccato in questo caso.
Se vi piace entrare nel bosco il mattino presto ed uscirne quasi a notte fradici di sudore, assaporare il silenzio e la solitudine della macchia, prestare l’orecchio ad ogni piccolo rumore, sentirvi animale tra gli animali, uomo lontano dagli uomini, guazza, fiume, albero o ogni altra essenza che anima il bosco, allora riuscirete a comprenderete che la caccia al solengo, a singolo, è un’arte.
Iniziai a praticarla in Maremma, quando da giovane universitario dovetti abbandonare per motivi di studio le mie montagne ed i miei compagni.
Fin dal primo anno, nelle domeniche in cui non mi era possibile tornare a casa, seguendo gli insegnamenti di un vecchio toscano, diedi principio ad un vagabondaggio solitario tra gli scopeti e le macche di cerro e farnetto, armato di un vecchio fucile con le “canne a tortiglione” che il mio amico era solito affidarmi; accompagnato solo da Moretta, incrocio tra un “nostrano mezzo pelo” ed un “trequarti” annoveriano.
Raggiungevo Marcello la domenica mattina e tutte le altre volte che gli impegni di studio me lo consentivano. Lo trovavo quasi sempre seduto dinanzi casa, al sole, o accanto al fuoco se faceva brutto e freddo. Mi aspettava. La sua età ed i segni di un lavoro duro non gli consentivano altro e così il mio racconto, al rientro dalla caccia, era prodigo di particolari, mentre il borbottio della caffettiera nera di fuliggine faceva comprendere che stava aspettando da un po’, con impazienza. Se il “solengo” aveva avuto la meglio, le sue deduzioni ed i suoi consigli si rivelavano quelli di un uomo che sapeva il fatto suo mentre, se c’era da recuperare, il suo sguardo si illuminava ed i suoi movimenti diventavano più rapidi, concisi; raddoppiava la ciotola di Moretta, l’accarezzava con tenerezza, armava di basto il vecchio ciuco e calzava gli scarponi.
Trascorsero così alcuni anni, stagioni di emozioni indimenticabili, di amicizia sincera, di rispetto assoluto tra un giovane “studente di caccia al cinghiale a singolo” ed un incredibile maestro.
Una mattina, che non dimenticherò mai, lo raggiunsi sul tardi. L’indomani sarei tornato definitivamente a casa. Avevo terminato gli studi e forse non ci saremmo più rivisti. Questa era la realtà anche se, nel cuore, ciascuno di noi due serbava una speranza diversa.
Quando varcai l’uscio stava in silenzio, seduto accanto al camino spento. Poi ruppe il ticchettio della sveglia dicendo:
- Stamattina è arrivato il “sostituto”. Ha attraversato l’orto delle “Due Sorelle” ed ha tirato dritto verso lo stagno. Ha segnato la querciola di Matteo dietro il recinto. Ha fatto tardi stanotte, per far baldoria, e deve essere sciapo di sonno.
Tacque, mentre il suo sguardo si perdeva tra la cenere aspettando una mia reazione.
- Marcello! - risposi dopo un po’ - Tu lo sai che seguir le tracce per me è dura da quel lato, con quest’arsura poi.
- Moretta ti ci porta per mano come un bambino. Dalle fiducia. Col vento giusto non ti sentirà fino a che non gli sei sopra. Sarà “allestrato” giù di là dal Nero.
Non sapevo come comportarmi. La tentazione era forte, ma mi pareva indelicato andare proprio la vigilia del nostro addio.
Fu lui a rompere l’indugio. Tagliò il pane, tagliò un pezzo di formaggio, riempì la bottiglia ed infilò il tutto nella mia cacciatora appesa dietro l’uscio.
- Va! - disse - Ti aspetto per pranzo.
Come aveva detto lui, sopra il margine dell’orto la traccia era evidente: il fango dello scivolo aveva imbrattato l’attraversamento allo stagno, ma poco più in là, sul trottoio che attraverso le scope si snodava fin giù in direzione del Nero, nessun segno.
Controllai accuratamente la querciola dietro il recinto di Matteo: il segno era alto a significare che il “compare” non era cosa da poco. Moretta annusò alcuni rami tra la bassa vegetazione e, dando di coda, lo agganciò immediatamente. Il verro, infilata la prima macchia, aveva abbandonato quasi subito lo stradello, passando dietro lo stagno, tra le scope, sotto i quercioli e poi giù di nuovo verso il fosso.
La cagna procedeva adagio, precisa ed ostinata, aspettando con pazienza che aggirassi ora una roccia, ora un fitto, mentre mi tornava in mente la saggezza di mio padre e le sue prime raccomandazioni, quando iniziai a seguirlo con le mie ginocchia sbucciate da piccolo monello. << Ricordati sempre che la formula migliore è: cane cieco e cacciatore zoppo>> era solito ripetermi ed aveva ragione, era necessario essere cauti e lenti. Allo schiocco, flebile segno di intesa, Moretta riprendeva ad accostare segnando sempre di coda.
Tra le piante alte, dove la vegetazione più rada liberava finalmente l’orizzonte verso il Nero, il cipresso davanti al casolare mi apparve all’improvviso svettante, impassibile. Sulla destra, sotto alcuni rovi, un “insoglio” recente..
- Hai fatto tardi! - pensai. - Se dormi ti do la sveglia a modo mio.
Con un salto Moretta attraversò il rivolo quasi asciutto e sull’altro lato prese attraverso la “tagliata nuova”. In cima, attese che le fossi nuovamente accanto.
Come avrei voluto che Marcello la vedesse al lavoro ora che aveva sei anni ed era diventata di mestiere. Ottimamente collegata, solida e seria, muta in accostamento ma discreta e prudente nell’abbaio a fermo, era in grado di seguire la traccia in qualsiasi condizione. Lavorava di cervello e non d’istinto. Ti guardava, aspettava il tuo cenno ed eseguiva prontamente. Con l’animale davanti poi era insuperabile: lo segnalava una volta, perché sapeva che non eri lontano, e te la vedevi subito al piede. Ti lasciava il tempo di riflettere: il vento, la distanza, la posizione giusta. Una volta che eri a posto, bastava un cenno del capo e ripartiva. Il suo abbaio era cadenzato, insistente, un sonar per individuare la posizione dell’animale con una tolleranza di pochissimi metri. E tu fermo ad aspettare, con l’adrenalina che ti ubriacava ed il cuore che ti saltava in gola.
Marcello l’aveva avuta cucciola da suo cugino Andrea; un accoppiamento indesiderato. Le era venuta subito in simpatia e poi Arno era ormai vecchio, difficilmente avrebbe superato l’inverno. Aveva iniziato a lavorarla quasi subito, con un entusiasmo nuovo.
Il vecchio cane, con la testa tra le zampe, li guardava fare e nei momenti di libertà sopportava pazientemente tutte le “angherie” della nuova arrivata.
Quella mattina la canina avrebbe voluto farmi un ultimo regalo.
Attraversato lo “spuntone della civetta”, contrariamente a come immaginavo, “l’amico” aveva deciso di cambiare direzione ed invece di andare oltre, verso il recinto delle vacche, aveva ripreso inaspettatamente a salire in direzione della “Rimessa del Carlino”: quattro scope in croce tra alcune rocce, in alto, per dominare chi veniva da basso a disturbare il suo sonno. Non era una zona impossibile.
Con un gesto del braccio richiamai Moretta che mi raggiunse immediatamente. La misi al piede ed iniziai l’aggiramento.
Impostai un avvicinamento prudentissimo, un passo dietro l’altro stando attento a non fare il minimo rumore. Di tanto in tanto controllavo il vento lasciando cadere qualche filo d’erba. Arrivai così, passando dal lato destro, ad una ventina di metri dalle scope. Se avessi dato l’ok alla cagna, da lì potevo anche tentare.
- Chi sa se mi ha già sentito? - Pensai.
Scrutavo a distanza il punto dove poteva essere allestrato, cercando di immaginare la sua mole, le sue difese, i suoi occhi. Mossi ancora un passo in avanti ed attesi. La cagna al piede non “esisteva”. Scrutai ancora, analizzai l’eventuale via di fuga e la condizione migliore per il tiro.
Un piccolo masso davanti a me, a circa quattro metri, era una posizione eccellente, ma era una distanza infinita. Ad attraversarla impiegai un tempo interminabile, con il cuore che sembrava mi uscisse dal petto, stando attento a che neanche l’erba sotto i miei scarponi si accorgesse del mio passaggio. Non dovevo assolutamente farmi sentire. Il vento era favorevole e lui probabilmente non aspettava nessuno da quella parte. La sua traccia dal basso era sotto il suo controllo, se qualcuno fosse arrivato da lì l’avrebbe immediatamente allertato.
Erano ora quindici metri, un tiro giusto. Mi accovacciai appoggiando la spalla sinistra sul masso; una gamba distesa contro un “querciolo” mi rendeva stabile sul terreno scosceso. Non bisognava avere fretta. Moretta aveva iniziato l’abbaio a fermo che sembrava quasi provenirmi da sotto i piedi. C’era solo da aspettare.
La cagna si spostò di qualche metro sulla sinistra, segno che l’aria stava cambiando, ma io ero leggermente più alto, potevo ancora attendere. Il ritmo dell’abbaio era immutabile, cadenzato, tra le basse scope non molto fitte. La mia posizione non era scomoda, nessun arto mi formicolava, la cagna era lì, sentivo il suo timbro costante, insistente, fastidioso. E l’animale doveva essere sotto quella scopa o sotto l’altra o addirittura dietro quello spuntone. La canna del fucile era in direzione e cercava il suo grugno
Da un momento all’altro si sarebbe alzato proprio dinanzi a me, lo avrei finalmente guardato negli occhi. Forse era nero come il demonio o canuto come un vecchio stanco, ma i suoi giorni terminavano con la mia partenza e le sue difese mi avrebbero ricordato quel tempo, per molti anni ancora, con poche ma sentite parole d’amicizia impresse dietro lo scudetto di legno.
Si mise ritto all’improvviso, sbuffando verso la cagna. Il suo orecchio era perfettamente in linea con il mirino del vecchio dodici, ma il suo occhio mi stregò e mi persi. Pochi interminabili istanti in cui il mio respiro rimase sospeso, il mio sguardo fisso al suo occhio, il dito immobile.
Quando si accorse di me, con uno strappo squarciò le scope sotto di lui ed il fragore mi risvegliò, ma ormai era troppo tardi per ogni ripensamento ed in fondo…. meglio così, avrebbe segnato ancora la “querciola” di Matteo, e Marcello, ogni volta, si sarebbe ricordato dei nostri giorni.
Franco Serpentini
di Franco Serpentini
Come scegliere e formare il cane
per la caccia a singolo al solengo
La caccia al solengo svolta da un solo cacciatore con un solo ausiliare é una modalità venatoria ormai rarissima se non in via d’estinzione.
Riservata a pochi veramente appassionati, richiede doti di abnegazione assoluta, un po’ di incoscienza nell’avventurarsi da solo in posti dove “si è fatta notte a Lazzaro” ed eccellente capacità di reagire alle frustrazioni per le innumerevoli volte in cui si fallisce.
Se non avete mai praticato questa forma di caccia e avete voglia di intraprenderne il lungo e faticoso cammino, fatto di sacrifici, ma anche di indescrivibili emozioni, allora accompagnatemi in questo breve percorso, cercherò di essere sintetico e chiaro.
Per prima cosa bisogna comprendere che l’elemento intorno al quale tutto ruota, il punto centrale, è sempre il cane. In questo tipo di caccia, il vostro ausiliare sarà il vostro “alter ego”, il prolungamento del vostro braccio, del vostro naso e dei vostri occhi....di tutti vostri sensi. Fino a quando non avrete il soggetto giusto saranno solo delusioni.
Per iniziare bene, ponetevi dunque in condizione di poter scegliere tra i soggetti di una cucciolata intera, che abbia intorno ai quattro mesi di vita, di collaudata genealogia, della razza che volete voi, ma che sia una razza rigorosamente muta durante la fase di accostamento (io consiglio il dachsbracke, linea austriaca). Se non riuscite a mettere insieme tutte queste componenti rinviate ad una migliore opportunità. In ogni caso non accettate mai un cucciolone e tanto meno un cane fatto, ma scegliete sempre voi il vostro soggetto, e non fate mai in modo che altri lo facciano per voi, soprattutto per questo tipo di caccia dove il feeling con il vostro ausiliare sarà determinante.
La scelta del cucciolo
Per operare correttamente la scelta, sgomberate la mente da tutti i criteri che già conoscete; ne ho sentiti di incredibili, altri un po’ più validi. Ricordate che non state scegliendo né un cane da beccacce, né un cane da lepre e né un cane da cinghiale qualsiasi, state scegliendo un soggetto che dovrà essere uno specialista per la caccia a singolo e non ci sarà spazio per la mediocrità. Per partire bene dovrete crederci fino in fondo.
Per fare la selezione, arrivate sulla cucciolata in silenzio, da soli, camminando pianissimo e scandagliandola da lontano con rapidi movimenti degli occhi. Così facendo cercherete di individuare quei soggetti che per primi vi noteranno e che tenderanno a corrervi incontro guardandovi in viso. Diceva un mio vecchio maestro: “il cane intelligente lo riconosci perché ti guarda negli occhi.... anche se non dovesse piacergli la caccia se è intelligente capirà che piace a te e farà di tutto per compiacerti”. Aveva estremamente ragione. Se a guardarvi in viso non sarà stato un solo cucciolo e avrete l’imbarazzo della scelta, optate assolutamente per quello meno esuberante, avrà il carattere migliore.
Scelto il cucciolo non mettetelo in canile, preparategli invece un luogo tranquillo, in casa, dove possa ascoltarvi ed osservarvi mentre svolgete le ordinarie funzioni della vostra vita quotidiana (ricordate che comunicate anche quando non ne siete consapevoli).
Altra cosa importantissima da comprendere è che il cane non va assolutamente viziato. Il suo spazio è il suo spazio, il vostro è il vostro: non consentitegli di venire a tavola ad elemosinare avanzi, diventerebbe invadente e acquisirebbe la tendenza a non ascoltarvi. Insegnategli che il tempo ha scansioni ben precise: se predisporrete il vostro soggetto ad una tendenza eccessiva al gioco, in qualsiasi momento, sarà già un’operazione perdente in partenza. Dategli sempre e solo voi da mangiare, occupatevi solo voi di condurlo fuori per i bisogni, siate solo voi a svolgere ogni piccola fase di addestramento lasciandolo comunque socializzare, nei momenti di libertà, con tutti perché il vostro cane dovrà essere un soggetto equilibrato.
Quando lo avrete accanto, sforzatevi di comprendere i primi segnali che vi facciano anticipare le sue mosse, in modo che con un gesto possiate prevenirlo, assecondarlo o guidarlo. Associate sempre a quello che volete che il cane faccia un particolare gesto del braccio o della testa. In questo modo verranno poste le basi di una comunicazione molto sofisticata, essenziale a caccia, fatta di poche parole e tanto meno di urli, ma prevalentemente di gesti, sibili, sguardi.
Iniziare con la traccia.
Appena il cucciolo si sarà ambientato, e quindi dopo una quindicina di giorni dall’arrivo a casa, inizierete con esercizi tipo il seguente: legate ad uno spago, a sua volta legato ad un bastone di scopa, un pezzetto di formaggio o altro boccone (non di carne). Usando il bastone come una canna da pesca fate fare al boccone un brevissimo tragitto rettilineo, senza saltelli, fino a nasconderlo sotto una scatola da scarpe capovolta, senza coperchio, ad una distanza di circa cinque metri dall’inizio della traccia. Abbiate cura di non toccare la scatola con le mani che hanno l’usta del boccone e ricordate: il cane non dovrà mai andare a vento. Lasciate ora che il cane si muova in tutta libertà. Dopo un po’ lo vedrete incuriosito da quella traccia che cercherà spontaneamente di agganciare e filare. Per lui sarà già un esercizio molto difficile per la sua età. La prenderà, la lascerà, si distrarrà, tornerà a riprenderla, ma voi non intervenite in nessun modo, lasciate che se la sbrighi da solo. Qualsiasi cosa accada, non scoraggiatevi assolutamente, ma ricordate che ogni soggetto ha i propri tempi di maturazione.
Se il cane non riuscirà a trovare il boccone, ma sarà incuriosito dall’emanazione, continuate così, siete sulla strada giusta. Dopo alcuni giorni, un tempo da valutare in base alle predisposizioni ed ai progressi fatti, inizierete ad allungare la scia e praticherete un foro minuscolo sulla scatola. Il cucciolo dovrebbe riuscire ora ad impossessarsi del boccone dopo aver “accostato”. Passate allora a tracce via via sempre più lunghe e complesse non dimenticando mai che il cane dovrà procedere con il naso incollato a terra.
Non vi appaia tutto ciò un’ esagerazione. Se avrete scelto il soggetto giusto e state lavorando bene, già in questa fase inizierete ad avere sorprendenti soddisfazioni.
Molti, acquistato il cucciolo, si occupano prevalentemente di rinforzare ed indirizzare le attitudini alla caccia ponendo il selvatico al centro. Per il cane da utilizzare nella caccia a singolo è un discorso completamente diverso: il soggetto che penserà solo al selvatico sarà inutile anche se si mettesse in groppa al cinghiale cavalcandolo come Pecoss Bill. Dovrà all'opposto, quanto prima, comprendere che al centro dell’azione non c’è il cinghiale, ma il conduttore.
Intorno ai nove mesi al vostro soggetto, se tutto procede bene, avrete insegnato a seguire le tracce della pelle di cinghiale (rigorosamente senza sangue) anche su terreno aperto.
I comandi base:
Nel frattempo non dovete trascurare di addestrarlo ad eseguire pochi ma fondamentali comandi. Questi devono essere attuati alla perfezione, in qualsiasi condizione. Aiutano a formarne il carattere e si rivelano essenziali in fase di caccia.
Si inizia in uno spazio chiuso, senza nessuna distrazione, per passare poi a terreni via via più ampi ed a distanze via via più grandi. I comandi base sono i seguenti:
Vieni: il cane dovrà venirvi ai piedi.
Seduto o terra : il cane dovrà fermarsi ed assumere la posizione richiesta e mantenerla, anche lontano dalla vostra vista, fino a nuovo ordine.
Vai: il cane dovrà rimettersi in movimento per continuare l’azione.
Al piede: il cane dovrà camminarvi al fianco senza soluzione di continuità.
Ricordate che i comandi vanno sempre impartiti a gesti o sibili. Mai urlare o percuotere il cane.
L’abbaio a comando.
L’operazione in genere non è impossibile ed il risultato dipende dall’indole del soggetto e dal tipo di rapporto di comunicazione che avrete impostato con lui. La costruzione dell’abbaio a comando è propedeutica al “pendolo” ed è solo finalizzata a questo; sarà inutile una volta interiorizzato il pendolo.
Si costruisce gradatamente, giorno per giorno, prevalentemente durante le normali attività di vita quotidiana, quando vi capiterà di notare il vostro cane, incuriosito o intimorito, assumere il classico atteggiamento di segnalazione che sfocia nell’abbaio. Usate sempre, inizialmente, un rinforzo fatto di sibili cadenzati e ripetuti sul ritmo dell’abbaio. Una volta ho conosciuto un “signore” che “incanizzava” a comando i suoi segugi. Non vi dirò mai, neanche sotto tortura, come usava questa “virtù”.
Il pendolo
Questo, insieme alla capacità di seguire la traccia, è la vera potenzialità del cane per la caccia a singolo. Molti la tollerano come abilità, pochi ne comprendono l’effettiva utilità, pochissimi sanno metterla a frutto.
Inizialmente ponetevi davanti (esternamente) ad un piccolissimo recinto (della superficie di pochi metri) con un cinghiale a vista. Il cane, se l’indole è quella giusta, abbaierà spontaneamente altrimenti stimolatelo utilizzando gli stessi rinforzi-comandi che avete usato nella precedente fase dell’abbaio a comando. Non stimolatelo però più di tanto, ma regolatevi sul suo carattere e se troppo esuberante abbassategli i toni facendogli assumere un atteggiamento più discreto (es. imponendogli il seduto). Non fate esercizi lunghissimi, anzi interrompete sempre lasciandolo con la voglia di tornare ad abbaiare. Se tende a lasciare, invece, stimolate e rinforzate. Il cane dovrebbe così comprendere, in breve tempo, che gradite da lui questo atteggiamento, con quel tipo di animale. Quando ciò e avvenuto, iniziate ad aumentare gradatamente la distanza tra voi ed il recinto, “lanciandolo” ad abbaiare sempre dopo averlo messo preventivamente al piede.
In conclusione di addestramento dovreste avere un soggetto che esegue la seguente operazione:
Cane <<al piede>>;
comando <<vai>>: il cane va ad abbaiare all’animale;
comando <<vieni>>: il cane viene al piede;
comando <<vai>>: il cane torna ad abbaiare.
A questo punto lasciatelo fare e mostratevi (dopo) con lui entusiasti del suo lavoro.
È pronto ora per il recinto più grande.
Lavoro in recinto.
Ricordatevi che il vostro ausiliare deve essere sempre in pugno, quindi non consentitegli mai, per nessun motivo, di avere il sopravvento su di voi, né tirando il guinzaglio, né allontanandosi senza un preciso vostro ordine, ma, al piede, corretto, senza guinzaglio, dovrà accompagnarvi durante la preventiva “passeggiatina” di esplorazione che farete nel recinto.
Accertata una dritta di rimessa, date al cane il comando <<vai>>, per accostare quei pochi metri. Al primo segnale di abbaio richiamate il cane al piede, ponetelo seduto e rinforzatelo. Poi, sempre con il cane al piede, calcolate il vento e spostatevi fino a renderlo favorevole, quindi rilanciate il cane ad abbaiare con il solito comando (sibilo o cenno). Lasciatelo ora divertire. Se il cinghiale si muove cercate di interrompere la seguita e poi rinforzate abbondantemente. Nella caccia a singolo la seguita non serve anzi è controproducente (1). Ripetete l’operazione con dritte sempre più lunghe, vergini. Durante l’accostamento, agendo con i comandi “vai”, “vieni”, “seduto”, tenetelo sempre ad una distanza che non superi i venti metri.
Quando avrete consolidato tutti questi atteggiamenti, abbattetegli un cinghiale davanti al muso e fateglielo mordere e rinforzatelo. È ora pronto per il terreno libero, per l’attività di caccia vera e propria. Il vostro cane dovrebbe avere ora intorno ai quindici mesi, manca solo l’esperienza.
Ricordatevi infine di non lavorare mai su animali in branco.
Note
(1) Non va confusa la “caccia a singolo” con la “caccia con cane a singolo”
La prima è svolta da un solo cacciatore prevalentemente con un solo cane. La seconda è invece svolta da più cacciatori con un solo cane.
E’ il momento di mettere in pratica quanto insegnato.
E’ giunta l’ora di mettere in pratica, su terreno libero ed in attività di caccia, quanto siete riusciti ad ottenere dal vostro cane.
Il risultato fin qui conseguito troverà espressione in un soggetto equilibrato, discreto, non esuberante, ma con atteggiamenti seri e che, quando richiamerete la sua attenzione con un sibilo o con un gesto, si disporrà in attesa di un vostro nuovo ordine, guardandovi negli occhi e pronto ad agire.
Nel primo periodo di perfezionamento in attività di caccia, dovrete sforzarvi di agganciare prevalentemente “dritte di rimessa”, di buon mattino, in modo che l’emanazione sia chiara e forte. Successivamente, man mano che il cucciolone prenderà esperienza, sposterete il periodo di attività nelle ore più tarde o addirittura il pomeriggio, scegliendo tracce sempre più lunghe e complesse.
Nell’ ispezionare il territorio, per cercare una traccia utile, condurrete il cane rigorosamente al piede o libero di muoversi purchè costantemente sotto controllo. Ricordate che questa è la fase in cui potete godervi, oltre alla solitudine, le inesauribili sorprese che l’atteggiamento “contemplativo” dell’attività venatoria riserva. Quando siete soli, liberi da impegni e doveri anche verso i “soliti” compagni di caccia, prendetevi pure tutto il tempo che volete. Trattenetevi senza fretta ad osservare quanto <<Madre Natura>> ha messo a nostra disposizione, godetevi le voci ed i colori del bosco. Non sarà certamente tempo perso, anzi vi accorgerete che il vero fondamento della caccia a singolo è racchiuso proprio in questo: riuscire ad amplificare la nostra essenza di uomini liberi, lontani anni luce da schemi e “trappole” di vita quotidiana.
Ispezionando accuratamente il territorio, riuscirete sicuramente ad agganciare la traccia giusta, che dovrà essere di un animale singolo. Preparatevi dunque a compiere un percorso faticoso ma interessante, che si intreccerà con esperienze esclusive, zeppo di cose inaspettate, di intuizioni e stupore. Attraverso l’osservazione attenta di ogni minimo particolare, ed anche con un po’ di fantasia che non guasta mai, riuscirete a ricostruire tutti i movimenti dell’animale, le sue intenzioni, la sua attività frenetica, i momenti di sosta, i cambi di direzione, gli incontri “amorosi”.
Ricordatevi però in ogni momento che la fase di accostamento dove essere condotta con metodo assoluto, tenendo sempre il cane alla giusta distanza e controllando di tanto in tanto che non abbia invertito la direzione. Grande cura dovrete porre anche nel cercare di non “accavallare” l’animale che state accostando con altri che potrebbero incrociare la sua scia. Il cambio di animale, per un cane inesperto, è un rischio notevole e sarete voi a doverlo aiutare in questo caso. Anche i “falli” di accostamento sono frequenti e, se il cane non ce la fa, non siate frettolosi ma, armati di santa pazienza, cercate di riannodare il “filo” alla perfezione, provvedendo però a non creare mai soluzioni di continuità alla traccia. “Saltellare” sul filo è quanto di più errato si possa fare ed in genere non porta a conclusione. Osservate invece ogni minimo dettaglio, sviluppate i vostri organi di senso; c’è sempre intorno a voi un segno, un elemento che vi guiderà facendovi prendere la decisione giusta.
Attenzione ai tratti in cui l’animale ha raddoppiato. In questo caso solo soggetti particolarmente esperti riescono a segnalarvi l’evento. Prima di intervenire in qualsiasi modo accertatevi di quello che è realmente accaduto altrimenti si corre il rischio di confondere il cucciolone e di fargli perdere sicurezza.
Ad un certo punto vi accorgerete che la traccia si sta trasformando in “dritta di rimessa”. Il selvatico assume un comportamento diverso: inizia ad esser più diretto, bada all’essenziale, trascura elementi importanti che voi, “da cinghiale”, avreste invece curato. Diventerete allora più cauti ed è il caso a questo punto di fare una pausa di riflessione.
Per prima cosa vi guarderete intorno e analizzerete il vento. Il sistema è il solito: strappate qualche filo d’erba e lasciatelo cadere; l’angolo di caduta ve ne indicherà la direzione. Considerate che l’animale, con molta probabilità, si è già accorto di voi e si aspetta che arriviate proprio da quella parte.
Allargando l’orizzonte cercherete di individuare la zona di più probabile rimessa, facendo tutte le valutazioni del caso: la visuale, la densità della vegetazione, la più probabile via di fuga, eventuali rocce preferenziali e quant’altro vi possa far sperare di aver individuato la lestra. Da quella posizione, molto probabilmente, il cane non riuscirà ad avventare l’animale, ma lui avrà avventato voi e c’è il rischio, anche se raro, che si sottragga alla volpina. Se il vostro cane lo consente per il livello di dressaggio raggiunto, rimanendo fermi, potete farlo allungare sulla traccia fino alla prima segnalazione a fermo. Se ben addestrato, dopo aver segnato, avendo perso il collegamento con voi, dovrebbe tornarvi al piede. In caso contrario, chiamatelo come gli avete insegnato nella preparazione al pendolo, ma senza eccessivo baccano. Se il solengo non vi ha ancora sentito, cosa veramente improbabile, non siate voi a convincerlo che è meglio cambiare aria.
Una volta che il cane vi è tornato al piede ripercorrete per un certo tratto esattamente il percorso che avete fatto per arrivare fino a quel punto. L’animale sentendo affievolirsi gradatamente la vostra emanazione, avrà l’impressione che non siete interessati a lui e dopo un po’ dovrebbe tranquillizzarsi.
Sempre con il cane al piede, guadagnate dunque una posizione che vi consenta di analizzare bene la situazione e memorizzare il percorso da compiere per l’aggiramento, che dovrà essere il più largo possibile, fino a guadagnare il vento. Analizzate nuovamente ogni minimo dettaglio, ricordandovi che l’animale sarà costretto per un brevissimo tratto a ripercorrere la dritta, poi scarterà a conquistare la direzione voluta quasi sempre con il vento sul grifo.
Se l’aggiramento è condotto ad arte, dopo aver effettuato l’avvicinamento in un silenzio che rasenta la maniacalità, arriverete ad una trentina di metri dall’animale che il cane, sempre al piede, inizierà ad avventare mostrando segni di irrequietezza.
Scrutate la possibile lestra. Qui la vostra competenza ed il vostro intuito si esprimono in sommo grado. Scegliete accuratamente e “conquistate” la posizione di tiro, collocatevi e lanciate il cane ad abbaiare.
Vi troverete così il cane “a fermo” tra voi e il cinghiale; voi sarete già immobili. Il cane, abbaiando, avrà la tendenza a compiere dei semicerchi tra voi ed il verro, al fine di mantenere quest’ultimo sempre sotto controllo a favore di vento. Il verro sarà estremamente infastidito dal comportamento del cane, ma soprattutto dalla sua posizione non riuscendo a controllarlo olfattivamente. Questo è il tempo dell’attesa, lunga, imponderabile, snervante, sfinente, ma darete dimostrazione di abilità estrema riuscendo a restare freddi ed immobili in posizione di tiro.
Dopo un po’ di tempo, spesso dopo molto tempo, vedrete l’animale simulare un attacco al cane in vostra direzione, poi un altro ed un altro ancora, fino a quando non arriverà a rendersi visibile. Gli attacchi in genere non vengono portati a compimento perché l’animale non riuscirà a localizzare con precisione il vostro ausiliare.
Di solito, simulato l’attacco, il verro resta immobile qualche frazione di secondo per controllare gli effetti della sua minaccia, se lo avete “incannato” è quello il momento giusto per effettuare il tiro, preciso, dietro l’orecchio.
In bocca al lupo!
Franco Serpentini